Ventidue anni fa, esattamente l’ 11 maggio, feci una mostra fotografica dal titolo “Come un paesaggio” presso l’ Hotel Aster di Siderno. Eccone un ricordo… con uno scritto di Francesco D.Caridi in occasione dell’ evento, e il servizio video andato in onda su Telespazio Calabria di Antonio Condò.
Danilo Coluccio ovvero i “rintocchi” della luce.
L’ Occhio, l’ occhio, prima della parola. L’ occhio che anticipa e da emozione al verbo. Borges divenne cieco, ma i fosfeni del suo pensiero sapevano illuminare le scansioni segrete e fantastiche del reale non più vissuto nelle sue apparenze ingannevoli. Il cervello era l’ occhio di Borges. Le sue narrazioni come impressioni fotografiche di un pensiero senza inutili arrovelli. La parola antica e sempre nuova. Ricordo: parlava e le sue parole dimostravano magicamente che egli “vedeva” l’ interlocutore, “vedeva” il contesto. Il reale dalle molte sfaccettature che, in una sequenza di attimi uno diverso dall’ altro per impercettibili mutamenti, diviene singolare e irrepetibile grazie alla fotografia artistica, rappresenta invece la dannazione degli scrittori di fine secolo, vedenti inutilmente, incapaci di riprodurre le emozioni di un passaggio epocale e i turbamenti dell’ anima residua dell’ homo (ormai) electronicus. Ecco, quindi, che la fotografia artistica sopperisce alle disfunzioni della scrittura narrativa contemporanea, asfittica, per darci il respiro pieno della vera dimensione umana. E’ il fotografo ormai, in una civiltà visiva ma non più visionaria, a risvegliare in noi le formidabili passioni, a lungo sopite a cagione soprattutto dell’ ignoranza e della disattenzione. Penso al grande fotografo Fulvio Roiter, sempre in giro per il mondo ” à la recherche d’ une chaleur humaine, à la recherche d’ un regard dans lequel on pourrait lire l ‘innocence retrouvée “, come lo presentava il famoso disegnatore belga Jean-Michel Folon trent’ anni fa. Scoprì Roiter grazie all’ indimenticabile Luciano Cirri, giornalista e scrittore, che era suo amico. Roiter, che ancora di recente ci ha turbato con l’ esposizione di sue immagini irrepetibili, è uno dei maestri al quale guarda, quasi con venerazione, il giovane fotografo calabrese Danilo Coluccio. Non gira ancora il mondo, Danilo, ma la sua terra calabrese, disordinata come il resto del mondo, è afferrata dal suo occhio, “alla ricerca di un segreto perduto, di una luce”, per rinvenirvi l’ innocenza primigenia. Danilo Coluccio (in)segue il mito dell’ armonia, in una Calabria che ha da tempo seppellito il proprio mistero di bellezza sotto fiumane di sterile parole, di brutture ambientali, di satrapie moleste. L’ occhio fotografico di Danilo è allenato da una lezione paterna di alto livello professionale: è fotografo artistico il genitore Mario, autoconfinato per scelta di vita in un paese che relega le attività culturali ed artistiche all’ ultimo posto, privilegiando i propri insulsi “baracconi”, un paese senza più ironia, in cui quelli che pretendono di essere i picchi della classe politica e dirigente non comperano un libro, figuriamoci se un guazzo o una fotografia d’ autore, nemmeno se rapisci loro le amanti. In questo paese si sono create delle “isole”, fortificate contro l’ ignavia e contro l’ indifferenza che sono le peggiori della ignoranza e della stroncatura, da cui si lanciano messaggi culturali in bottiglia, che prima o poi qualcuno leggerà. Danilo Coluccio, come suo padre, risiede in una di queste “isole”, costruendo il proprio futuro di fotografo e di pittore. In attesa di tempi migliori per tutti. Le immagini che presenta in quest’ occasione vanno riviste anche in chiave simbolica. Uno sforzo che i visitatori della mostra devono fare, se vogliono risvegliarsi dal sonno apatico in cui li costringe l’ abitudine e la rassegnazione, per colpa di una cattiva politica, di un cattiva televisione. Leggiamo nelle fotografie, stampate “a zona” dallo stesso autore per esaltare i particolari ( la romantica ispirazione sposa la tecnica, e l’ idillio produce soluzioni contrastate di bianco e nero senza che il soggetto perda di semplice bellezza), il tentativo riuscito di fissare i “rintocchi” a festa della luce naturale, che preludono alla nostalgia, spina “pungente e senza condono“, come diceva il poeta Caproni. FDC ( Francesco D. Caridi, Siderno, Maggio 2000. )
Il servizio di Antonio Condò andato in onda nell’ edizione del 12 maggio 2000 del Tgr di Telespazio Calabria.
Queste sono alcune delle foto esposte:
Una parte dell’ allestimento:
____________________________________________________________________________________
Copyright © Danilo Coluccio fotografo 2022 – Vietata la Riproduzione – Tutti i diritti sono riservati.